TraduzioniCategoria: LatinoSvetonio – De vita Caesarum – Nero – XXXII
Rina ha chiesto 7 anni fa

Verum ut spes fefellit, destitutus atque ita iam exhaustus et egens ut stipendia quoque militum et commoda veteranorum protrahi ac differri necesse esset, calumniis rapinisque intendit animum. Ante omnia instituit, ut e libertorum defunctorum bonis pro semisse dextans ei cogeretur, qui sine probabili causa eo nomine essent, quo fuissent ullae familiae quas ipse contingeret deinde, ut ingratorum in principem testamenta ad fiscum pertinerent, ac ne impune esset studiosis iuris, qui scripsissent vel dictassent ea tunc ut lege maiestatis facta dictaque omnia, quibus modo delator non deesset, tenerentur. Revocavit et praemia coronarum, quae umquam sibi civitates in certaminibus detulissent. Et cum interdixisset usum amethystini ac Tyrii coloris summisissetque qui nundinarum die pauculas unicas venderet, praeclusit cunctos negotiatores. Quin etiam inter canendum animadversum matronam in spectaculis vetita purpura cultam demonstrasse procuratoribus suis dicitur detractamque ilico non veste modo sed et bonis exuit. Nulli delegavit officium ut non adiaceret: “Scis quid mihi opus sit, ” et: “Hoc agamus, ne quis quicquam habeat.” Ultimo templis compluribus dona detraxit simulacraque ex auro vel argento fabricata conflavit, in iis Penatium deorum, quae mox Galba restituit.

Svetonio – De vita Caesarum – Nero – XXXII
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Rina ha risposto 7 anni fa

Ma, quando la speranza svanì, deluso e ormai tanto impoverito e miserabile da dover rinviare e differire anche i salari dei soldati e  i compensi dei veterani, si volse alle calunnie e alle rapine. Prima di ogni cosa stabilì che a lui spettassero, invece della metà, i cinque sesti dei beni dei liberti defunti, i quali portassero senza un motivo plausibile un nome gentilizio, appartenente a qualche famiglia, con le quali egli stesso fosse imparentato; poi (stabilì) che giungessero al fisco (i beni) di coloro che nel testamento erano stati ingrati verso l’imperatore e che i legali che avessero scritto o dettato tali (testamenti) non restassero impuniti; poi (stabilì) che tutte le cose fatte e dette, purchè per le quali non mancasse un delatore, fossero subordinate alla legge di lesà maestà. Revocò anche i premi delle corone, che le città talvolta gli avevano conferito nei concorsi. E dopo aver vietato l’uso dei colori porpora e viola e aver inviato uno in un giorno di mercato a venderne poche once, fece arrestare tutti gli acquirenti. Si dice inoltre che mentre cantava, avendo scorto durante gli spettacoli una matrona vestita della vietata porpora, la mostrò ai suoi procuratori e trascitata subito lì, la privò non solo della veste ma anche dei beni. Non mancò mai, nell’assegnare un incarico, di raccomandare: “Sai di cosa io ho bisogno”, e: “Facciamo questo, che nessuno possieda alcunchè”. In ultimo sottrasse a parecchi templi doni votivi e fece fondere i simulacri realizzati in oro o in argento, tra cui c’erano quelli degli dei Penati, che più tardi Galba ripristinò.

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